Mario Draghi continua a ribadire con orgoglio che il suo Quantitative Easing ha funzionato. L’ufficio studi della Bce, sostiene che gli effetti totali delle varie misure di politica monetaria siano vicini. Una crescita addizionale del PIL di quasi il 2% e circa la stessa cosa è per l’inflazione (quasi 2%). Si tratta dell’effetto complessivo da distribuire in ben cinque anni (2016 – 2020). In effetti non è molto, anzi, è un risultato mediocre perché parliamo di un solo 0,4% medio all’anno. Va anche detto però che anche questo piccolo risultato oggi è sufficiente per evitare una grave fase recessiva a paesi importanti come Italia e Germania. Inoltre, avremmo avuto periodi di accentuata deflazione che avrebbe ulteriormente complicato il rimborso dei debiti, in una situazione creditizia piuttosto indebolita.
In sintesi, ad oggi, prendendo come riferimento le principali economie dell’eurozona, potremmo definire la recente attività della Bce sia stata tanto indispensabile quanto inefficace.
TLTRO 2019
Anche le recenti manovre, deliberate dal Consiglio direttivo della Bce il 7 di marzo, sembrano quasi indispensabili. Oltre che dare alle banche i fondi necessari a rimborsare i precedenti TLTRO del 2016 e del 2017, alimenteranno la domanda di titoli di Stato. Proprio ora che la Bce ha dovuto politicamente abbandonare il Quantitative Easing. L’obbiettivo dichiarato cioè quello di dare credito a famiglie ed imprese non finanziarie, appare invece poco credibile. Infatti, fra il novembre 2015 ed il gennaio 2019 i crediti a favore di famiglie ed imprese italiane sono scesi da oltre 1.420 miliardi a circa 1.300. Le precedenti operazioni TLTRO allora, sono servite essenzialmente a poco e che fossero destinate a fallire era del resto più che prevedibile.
La realtà è che le aziende investono (indebitandosi), solo quando vedono concrete possibilità di sviluppare i propri affari. Quando sono sommerse di clienti o almeno si aspettano di esserlo. Nessuna azienda sana contrarrà debiti solo perché il credito è a buon mercato. Ecco quindi perché le svariate iniziative di inondazione di liquidità producono effetti modesti su crescita ed inflazione. Purtroppo, le banche centrali non possono garantire che il credito erogato dalle banche all’aziende venga poi restituito. Inoltre, le banche centrali possono solo influire sul costo del denaro, ma non possono determinare la domanda di prestiti. Tale domanda dipenderà sempre dagli stimoli dei potenziali imprenditori che riceveranno dal contesto economico – influenzate anche dalle politiche dei governi – e dalla voglia che avranno le banche di sostenere i rischi di credito derivanti da perdite attese ed inattese. Tassi troppo bassi non incentiveranno le banche a fare il loro core business: l’intermediazione del credito.
Qualcuno tra l’altro, comincia ad osservare come i prolungati bassi costi di finanziamento abbiano influito a mantenere artificialmente in vita “le imprese zombies” con bassissima produttività e dimensioni troppo ridotte. Quest’ultime rimangono stancamente sul mercato, costituendo una barriera di entrata per aziende potenzialmente più efficienti.
GLOBAL VIEW
Il recupero prodigioso delle borse azionarie avvenuto nel primo trimestre di questo 2019, è da imputare essenzialmente a tre fattori:
- il cambio di rotta della FED che da inizio gennaio ha stoppato ogni ipotesi di nuovi aumenti dei tassi;
- l’estenuante trattativa sui dazi con la Cina che ha creato le aspettative per una chiusura della guerra commerciale;
- l’eccessiva diminuzione dei prezzi delle azioni avvenuta nell’ultimo bimestre dell’anno scorso.
Manca però il propellente necessario per la continuazione di questo recupero, a livello globale.
I recenti dati macroeconomici dell’eurozona, denunciano rischi recessivi anche in Paesi come la Germania, oltre quelli già noti per l’Italia. Anche i dati USA e le inversioni viste sulla curva dei tassi non lasciano presagire ulteriori periodi felici per gli indici di borsa. In questa situazione d’incertezza è facile presupporre ulteriori allunghi del gold, mentre è ipotizzabile vedere prese di beneficio, oltre che sui mercati azionari, anche sul petrolio. Se il dollaro aveva incorporato per il 2019 almeno un paio di rialzi dei tassi, successivamente smentiti da Jerome Powell, potrebbe svalutarsi ulteriormente. Anche l’euro è depresso sia per l’atteggiamento iper-dovish della Bce, sia per le debolezze dell’economia accennate sopra. L’euro adesso potrebbe flettere per i timori delle prossime elezioni europee. Passato l’ostacolo evitando il trionfo delle forze sovraniste, è plausibile un potenziale di rafforzamento della Moneta Unica anche fino a 1,20.