I mercati petroliferi stanno reagendo dalla minaccia sulle forniture globali di greggio scaturite dalle sanzioni all’Iran e dal caos in corso in Venezuela. Una prima garanzia arriva dalle crescenti scorte degli Stati Uniti.
PRODUZIONE OPEC RELATIVAMENTE STABILE A MARZO
Secondo Reuters e Bloomberg la produzione Opec è rimasta relativamente stabile a marzo. L’indagine ha stimato un calo di 90 mila barili al giorno della produzione complessiva di greggio dell’organizzazione. Venezuela e Iran, hanno fatto scendere la produzione totale. Aiutati dall’Arabia Saudita e dai partner del Golfo, che hanno continuato a tagliare la produzione nell’ambito dei loro obblighi di transazione Opec. Secondo le fonti citate, la giornaliera media di marzo è pari a 30,23 milioni di barili.
LIBIA
L’indagine di Bloomberg ha prodotto una cifra piuttosto simile per marzo, a 30,3 milioni di barili, Ma è interessante notare il fatto che uno dei contribuenti è la Libia. Uno dei membri più instabili dell’Opec, che però è stato esentato dai tagli e che è riuscito ad aumentare la sua produzione il mese scorso. I dati parlano di 90 mila barili giornalieri in più che compensano, di fatto, il declino dell’Iran, la cui quota, è scesa di 80 mila barili al giorno a 2,63 milioni di barili il mese scorso.
L’ARABIA SAUDITA
L’Arabia Saudita, il più grande produttore dell’Opec, tuttavia, è probabilmente il principale fattore nel gioco dei prezzi petroliferi. Il paese ha tagliato più di quanto concordato nel tentativo di spingere le quotazioni ancora più in alto. Allo stesso tempo, ha assicurato al presidente Donald Trump, in risposta alle sue richieste di prezzi più bassi, che è pronto ad invertire i tagli ogniqualvolta ciò si renda necessario. Queste assicurazioni sono servite a tenere sotto controllo i prezzi dopo che il Dipartimento di Stato americano ha annunciato la stop alle esenzioni sulle sanzioni per alcuni clienti iraniani.
L’OPEC
Secondo gli analisti di mercato, l’Opec sembra essersi trasformata in una sorta di carta Jolly. Mentre l’Arabia Saudita può modificare la produzione in base alle loro priorità, il resto dei grandi produttori del gruppo non sono così affidabili. Oltre a Iran, Venezuela e Libia, che sono tutti esenti dai tagli e come tali capaci di sorprese, ci sono anche grandi produttori come Iraq e Nigeria, che hanno entrambi in programma di aumentare significativamente la loro produzione.
VENEZUELA
C’è poi da ricordare il Venezuela. “La Casa Bianca cercherà probabilmente di erodere ulteriormente i proventi delle esportazioni petrolifere del paese. Così cercherà di costringere i paesi consumatori come l’India a limitare i loro acquisti venezuelani”, ha detto RBC Capital Markets in una nota. “Washington può anche chiedere che le compagnie energetiche statunitensi cessino di operare nel paese e che le aziende europee smettano di fornire servizi a PDVSA”. Per RBC la produzione petrolifera venezuelana potrebbe potenzialmente scendere a zero entro la fine dell’anno. Sembrerebbe impensabile, ma RBC sostiene sia “abbastanza plausibile dato il sostanziale sostegno che Maduro sta ricevendo da Mosca, così come il fatto che i giovani ufficiali sono stati i principali disertori”.
Fino a che Maduro rimarrà al potere, dunque, Washington stringerà il cappio, e ciò potrebbe mettere a rischio le esportazioni petrolifere venezuelane. “La produzione in Venezuela di greggio ammonta ora a circa 800 mila barili al giorno. In soli tre mesi si è così precipitato di quasi 400 mila barili al giorno, ed è probabile che cali ulteriormente”, ha scritto Commerzbank in una nota giovedì.
NESSUNA ALTERNATIVA “POSITIVA” AL MOMENTO
Alcuni analisti sostengono addirittura che una rapida risoluzione in Venezuela (che sembra improbabile a questo punto) non potrebbe che essere ribassista per il greggio. L’enorme danno alle infrastrutture, agli impianti petroliferi e l’estrema mancanza di investimenti renderebbe molto difficile, infatti, qualsiasi inversione di tendenza e, in definitiva, un progetto a lungo termine. “Non pensiamo che qualsiasi cambiamento di regime in Venezuela possa portare ad un aumento significativo della produzione a medio termine; i problemi sono troppo profondi per essere risolti immediatamente”, ha scritto Standard Chartered in una nota.
Solo poche settimane fa il tema principale di cui si discorreva nel settore petrolifero era se i tagli dell’Opec sarebbero stati estesi per mantenere i prezzi più elevati. Malgrado ci sia ancora la possibilità di portare avanti un discorso simile, all’interno dell’organizzazione dei paesi produttori regna una grande incertezza. La pressione concorrenziale creata dallo shale oil statunitense, non danno certezza che i tagli proseguiranno anche nella seconda metà dell’anno. In ogni caso se ne saprà di più a fine mese alla prossima riunione Opec.
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